Brainstorm

Se si potesse dare un nome al proprio cervello, probabilmente il mio lo chiamerei Lazzaro.
Almeno potrei ordinargli:

 “Lazzaro, alzati e cammina!”

e lui eseguirebbe senza esitazioni.

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Martina meets Munch

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Meglio un barattolo di vetro o un tubetto di dentifricio?

Oggi mi sento particolarmente ispirata al punto da aggiungere ben due post a questo neonato blog!

 

L’argomento si ricollega al video pubblicato precedentemente, ovvero: perché si sente la necessità di parlare? Già, proprio “parlare”, che è ben diverso da “comunicare”.
Forse non dovrei sostenere questa discussione, esprimerei un giudizio troppo di parte. Infatti, sono una persona di poche parole, soprattutto all’inizio di un nuovo rapporto con altri individui. Ed ecco che vengo subito giudicata “timida”, “silenziosa”, “riservata”, tanto che i meno curiosi mi liquidano senza aver approfondito la conoscenza.
“Purtroppo ognuno ha il suo carattere” è stata l’ultima frase che mi sono sentita dire riguardo al mio atteggiamento con il genere umano. Perché “purtroppo”? Chi ha stabilito che questo tipo di carattere sia sbagliato, inadeguato, da migliorare?
E perché dovrei allora conformarmi alla massa di chiacchieroni e iniziare anch’io a parlare a vuoto di argomenti senza senso?

La verità è che le persone sono come dei contenitori, ma i contenitori non sono tutti uguali.
Io ho diviso convenzionalmente la gente in due categorie: barattoli di vetro o tubetti di dentifricio. Sì, perché non tutti riescono ad essere trasparenti e a mostrare subito a prima vista cosa contengono. Molti sono come dei tubetti di dentifricio, bisogna spremerli con una certa forza per tirare fuori la loro essenza.

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Se fossi una scena di un film, sarei…

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La mia speranza è una fenice

La speranza è l’ultima a morire.
Fortuna che la speranza non è mai una sola! Almeno quando ne muore una, ce n’è sempre un’altra pronta a rinascere e a darti la forza di proseguire per la tua strada.

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PMS?

“Tira fuori le palle!” mi consigliano.
Ma come si fa a tirare fuori le palle quando invece, nella realtà, l’unico organo riproduttivo che fuoriesce sono ovuli misto a sangue una volta al mese? E’ una questione biologica prima di tutto.
E poi ancora una cosa non capisco. Perchè una donna, per apparire coraggiosa, deve avere le palle? Trovo che sia un modo di dire molto maschilista. Nessuna donna ha le palle, basta con queste pretese! Possiamo farcela benissimo con i nostri mezzi!
Anzi, se proprio vogliamo continuare ad utilizzare questa metafora, ne propongo un’altra, per la par condicio: “che gli uomini tirino fuori l’utero!”. Eh sì, proprio l’utero, quell’organo tanto dimenticato, ma così essenziale da permettere a noi donne, prive di palle, di portare in grembo per nove mesi una creatura, che poi daremo alla luce, soffrendo come nessun uomo può immaginare. E il tutto senza le palle!

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Abbracci e presentazioni

Questa mattina ho fatto colazione con un bicchiere di latte e tre Abbracci. Mentre pucciavo i biscotti nel latte e li portavo rapidamente alla bocca, ho avuto una rivelazione: iniziamo a mandare in rovina il mondo quotidianamente, compiendo un’azione così banale come fare colazione. Eh sì, perchè quando mordi il biscotto (non importa se inizi dalla parte alla panna o da quella al cacao) spezzi un “Abbraccio”, gesto di fratellanza, rovini quel magico connubio di sapori, quello che le pubblicità ti vendono come un simbolo di amore per farti sentire meglio, in pace con te stesso e con il resto dell’umanità. In realtà ti portano inconsciamente a compiere un gesto di crudeltà: al mattino cominci con dei biscotti, chissà durante il resto della giornata cosa combinerai! Altro che la felice famigliola del Mulino Bianco!
Per non parlare poi di quella frase emblematica riportata sulla confezione: “Nessuno seppe mai se fu il cacao ad abbracciare la panna o viceversa”. Dubbi amletici che ti distraggono continuamente, che ti privano della tua preziosa concentrazione, che non ti fanno dormire la notte, che ti mandano in paranoia, della serie: “E’ nato prima l’uovo o la gallina?”.

Qualche giorno fa sentivo una persona ritenere più validi coloro che scrivono e poi, nella vita reale, mettono davvero in pratica le loro idee, i loro pensieri, senza tirarsi indietro come conigli. Credo certamente che sia un comportamento dignitoso e lodevole da parte loro, ma ci tengo a difendere quelli che, invece, sono un po’ più titubanti. Io, d’altronde, faccio parte della seconda categoria. Per me, la realtà è molto più complicata di un chiaro, limpido e fedele foglio di carta. Perciò riesco a dominare quest’ultimo molto meglio, con la conseguenza di apparire, in qualità di “scrittrice”, una persona completamente diversa da quella che si incontra nella vita concreta. Non è una questione di falsità o di incoerenza, sia chiaro. Alcuni hanno definito questa mia situazione uno sdoppiamento di personalità. Fatto sta che attraverso la scrittura riesco ad entrare in un’altra dimensione, in una sorta di universo parallelo in cui un’altra me (o forse la vera me stessa) riesce a far sentire la sua voce, a far valere le sue idee e non si fa prendere da angosce infondate. Ciò che scrivo non sono prese in giro, non sono i soliti discorsetti retorici per avere la coscienza pulita. La scrittura, per me, è un passatempo catartico; ogni parola, ogni frase che trasporto dalla mia mente al foglio attraverso l’inchiostro mi fa crescere e mi stimola a cercare di capire chi sono veramente. Se lo sapessi già, forse non sentirei questa necessità.
Martina2.0 (o “martinaduepuntozero”) è tutto questo, è quella parte di me sicura di sè, di quello che pensa e che, in qualche modo, riesce a trasmettere un messaggio, lasciando da parte la timidezza (che, quando è in eccesso, crea qualche inconveniente).

“Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio.” (Gustav Klimt)

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